Intervista a Bujumannu

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Ambasciatore della musica reggae in Sardegna. Nel 1996 fonda gli “Skami Ska”, che ancora oggi sono ricordati per la grande energia degli spettacoli live e come uno dei primi e più rappresentativi gruppi Ska/Reggae isolani, con il quale realizza 2 album: Sogno la Jamaica nel 1998 e Fusivisibilmente nel 1999. Dal 2002 al 2004 continua il suo percorso in Lombardia con i “Radio Island”. Dal 2005 è il cantante dei “Train To Roots”, una delle band più importanti e attive della scena reggae italiana in Europa. Oltre 18 anni di attività, caratterizzati da tour e concerti esplosivi in tutta Europa. Bujumannu è tutto questo e noi l’abbiamo intervistato all’indomani dell’uscita del suo nuovo disco.

D. Parlami del tuo nuovo album…

R. Senza Confini è un album ricco di sfumature, di calore, di belle parole, riflessivo, ma anche rigenerante e rilassante.
15 nuove canzoni con tante collaborazioni (Forelock, Yana, Pol, Pierpaolo Vacca, Matteo Musca, Lucio Manca, Anthony Screwface, Fabio Merigo, Carlo Figus), tante sfumature e suoni che rendono le canzoni originali e richiamano alla mia Madre Terra, la Sardegna, grazie alle Launeddas, Sulittu, cori a tenore, volevo fosse un album molto rappresentativo di ciò che sono dopo tutti questi anni pieni di live e produzioni.
Ho iniziato a lavorarci nel periodo più brutto e “strano” che abbiamo vissuto, quello della pandemia. Dove, come tutti, ho sofferto, sperimentato e provato sensazioni forti, paure e voglia di vivere perciò nei testi si percepisce proprio questo: voglia di amore, di umanità, pace, serenità, di stare insieme e di volare lontano.

D. Hai voglia di sperimentare un po’ da solista ma in parallelo con i Train To Roots stai sempre facendo qualcosa?

R. Certo che sì, è appena uscito il nostro nuovo singolo “Ondanomala” e siamo appena tornati da una bellissima data a Sallent in Spagna, dove poi torneremo ad agosto per suonare al Rototom Sunslash.
Abbiamo pure ultimato tutti i lavori del nuovo Album, presso gli studi della Roble Factory di Alghero quindi a breve uscirà pure il nostro 7° album e non vediamo l’ora di portarlo in giro.

D. Che differenze trovi a livello di processo creativo nello scrivere da solo e nel militare in una band?

R. Forse la più grande “differenza” è che con la band Train To Roots rappresentiamo un genere e portiamo avanti quelle sonorità e quella attitudine maturata in 20 anni di attività, si lavora tutti insieme a tutta la stesura di una canzone, dalle parti strumentali, alle sonorità, sino ad arrivare alle liriche e al testo vero e proprio, un processo che potrebbe sembrare lungo ma che porta sempre a dei risultati (a livello di produzione) molto alti.
Mentre per le mie da solista posso pure sperimentare tanto a livello di stili, tematiche da trattare e sonorità. Mi piace tutta la musica e ascolto veramente di tutto perciò da solista ho pure la possibilità di soddisfare la mia voglia di mettermi in gioco e quindi anche di poter scrivere e cantare su altri generi, accompagnato da altri musicisti e\o produttori, una cosa che mi ha sempre affascinato e fatto crescere tanto.

D. Che cosa ti ispira maggiormente?

R. Bella domanda, penso che sia la vita stessa ad ispirarmi, ciò che mi circonda, ciò che ho vissuto sulla mia pelle, ciò che provo dentro al cuore, ciò che mi hanno tramandato, raccontato ed insegnato, ciò che vedo con gli occhi e ciò che visualizzo con la mente. Ho sempre provato a lasciare, all’ascoltatore dei miei testi, una bella sensazione, una buona vibra, come diciamo noi, un bel messaggio che alla fine è sempre quello di cercare di goderci in serenità, amore, rispetto vero e pace questa preziosa vita in questo spettacolare pianeta.

D. Quanta importanza ha la tua isola nella tua musica?

R. Ha tanta importanza, essere isolano è qualcosa di indescrivibile, ci dà un senso di appartenenza molto forte, soprattutto se la si lascia per inseguire i nostri sogni, un lavoro, un amore. Se si nasce in un’Isola così piena di bellezza, misteri, costumi, usanze, credenze ma nello stesso anche così sfruttata e maltrattata come la Sardegna, qualsiasi cosa si faccia nella vita, la sardità ce l’hai nel DNA. Dicono si percepisca tanto dalle mie produzioni il calore, il sole la bellezza e l’accoglienza tipica della mia Terra. Non ho mai avuto timore o disagio nel cantare nella mia lingua e di denunciare e raccontare anche situazioni con cui siamo obbligati a convivere (guerre simulate, sperimentazioni militari, inquinamento, raffinerie, sfruttamento del territorio, abbandono delle istituzioni) e questo penso sia stato anche un punto a mio e a nostro favore, parlando dei Train To Roots. Ci ha resi originali e ci ha dato la possibilità di emergere e girare tutta Europa con i nostri colori, la nostra bandiera, la nostra lingua e la nostra cultura.

D. Oltre al reggae quali generi ti hanno influenzato maggiormente?

R. Ho sempre ascoltato di tutto sin da tenera età, soprattutto dal vivo ho visto miriade di concerti. Diciamo che sono partito dai grandi cantautori italiani (che ascoltavano i miei), per poi arrivare al prog italiano anni ’70, rock, hip hop, dnb, posse, ska, pop, afrobeat.

D. Con chi ti piacerebbe duettare?

R. Adoro duettare, nel corso della vita ho avuto modo di fare tanti e ogni volta è stata una bella esperienza, un bello scambio di energie, idee e forza. La verità è che è difficile sceglierne solo uno, è talmente bello ed emozionante condividere con un’altra anima un’opera d’arte come una canzone che ti rispondo che mi piacerebbe duettare con altre centinaia di artisti e che sarà la vita stessa a scegliere con chi e in quale modalità, sarebbe davvero una bella ricompensa ed una goduria immensa per l’anima.

D. L’importanza per te della Land-Art, da come si evince dai tuoi profili social. Ci puoi spiegare di cosa si tratta nel dettaglio?

R. Mi ha sempre affascinato vedere delle Stone Balance o opere di Land Art che non sono altro che opere d’arte povera, create in mezzo alla natura, con la natura utilizzando solo elementi che la stessa ti dona. Opere a tempo determinato, nel senso che la durata dell’opera spesso dipende appunto dai suoi elementi: vento, acqua, pioggia, animali e spesso i bimbi curiosi che toccano e buttano giù (ride).
La natura poi si riprende tutto e rimette tutto in ordine.
Ho iniziato per gioco, ma poi mi sono reso conto che mi faceva stare bene, rilassato, che diventata una sorta di meditazione, mi fa stare in connessione con la natura e con tutto ciò che mi circonda, insomma ADORO!

D. Stai già lavorando a qualcosa di nuovo?

R. Sì certo, ho già in uscita qualche nuovo singolo, sto lavorando a dei nuovi video e a breve con una band tutta personale inizierò a presentare dal vivo e suonato, pure il mio nuovo album.

D. Come ultima domanda ti chiedo: ma perché tifi Atalanta?!

R. Questa domanda è micidiale (ride).
Come si fa a non amare una squadra che si chiama la Dea?!
Nei primi anni di liceo ebbi un professore di Bergamo che non faceva altro che parlare di questa squadra, difendeva questi tifosi, che a suo dire erano una curva unita di grandi lavoratori, impegnati nel sociale, che andavano tutte domeniche a fare a mazzate con tutte le curve piene di fascisti d’Italia. Già qui mi innamorai un pochino.
Erano anni in cui Stromberg e Caniggia erano i miei miti in assoluto e quando l’Atalanta riuscì (neopromossa dalla serie B) a giocarsi la semifinale della allora Coppa Delle Coppe, diventai tifoso.
Anche se, per ovvi motivi di senso di appartenenza, ho sempre tifato pure su Casteddu, il Cagliari. E alla domanda “quando si incontrano chi tifi?” rispondo sempre “spero nel pareggio” (ride).