
Il cantante, compositore e produttore svizzero Elijah Salomon pubblica il suo settimo album, Essenz, un progetto che segna una svolta nella sua carriera artistica. Le dieci tracce che lo compongono fondono reggae e dancehall con sfumature di afrobeat, soul, hip hop ed elettronica, dando vita a un sound moderno, profondo e al tempo stesso ballabile.
Le origini di Essenz risalgono al lockdown del 2021, periodo in cui Elijah ha trascorso lunghe giornate nel suo studio, circondato da sintetizzatori e campionatori, sperimentando nuove sonorità. L’album nasce da quella ricerca e si muove tra il calore della connessione umana e la resilienza di fronte alle sfide della vita.
D. Parlami del tuo nuovo album Essenz… Quali temi o messaggi volevi esplorare?
R. Nel nuovo album ho esplorato principalmente nuovi suoni, sono tornato alle origini di 20 anni fa producendo brani solo con la chitarra e alcuni campionatori in studio, senza limitarmi ai generi musicali, ma semplicemente facendo musica. Con la differenza che ora ho uno studio completo in cui posso lavorare, mentre 20 anni fa avevo solo il mio computer e la mia chitarra in camera da letto (ride). In seguito abbiamo aggiunto altri musicisti e sviluppato alcune idee in brani dal vivo. L’album è piuttosto emotivo e riflette gli alti e bassi che ho attraversato durante il processo di realizzazione.
D. C’è un brano in particolare che senti particolarmente personale o significativo per te?
R. Devo dire che amo l’intero album nel suo insieme. Era da molto tempo che non lavoravo a delle canzoni pensando a un album, ultimamente mi sono concentrato più sui singoli. Quindi mi è piaciuto collegare i diversi punti e sentirlo come un unico pezzo. Di solito non riesco ad ascoltare gli album una volta finiti, ma questo mi piace ancora molto anche dopo averlo completato.
D. Guardando indietro alle tue precedenti pubblicazioni, come pensi che sia evoluto il tuo sound?
R. Penso che il mio sound sia diventato ancora più vario in questo album, dopo aver realizzato due album dub, Dub Ripe Fruit e Salomon Dub, oltre all’album Eat Ripe Fruit and Salomon, anch’esso incentrato principalmente su brani roots, dub e reggae. In questo album ho fuso diversi suoni che mi piace suonare sul sound system. La mia musica è sempre stata un mix di suoni. Negli ultimi quattro anni abbiamo organizzato molti dance con il nostro sound system chiamato The Peoples Sounds, che ha influenzato molto anche la mia produzione. In questo album in particolare ho cercato di immaginare come mi sembrerebbe il dancehall nel 2025.
D. Cosa ti aspetti dalla presentazione dell’album al Kingston Jerk a gennaio?
R. Sono felice di poter condividere il palco con gli artisti giamaicani che hanno partecipato all’album, come Mike Brooks, e con altri artisti con cui ho lavorato negli ultimi anni, come Sycorah o Truvice. Lavoro con artisti e musicisti giamaicani da anni e sono semplicemente felice ed emozionato di poter finalmente presentare la mia musica nel Paese che amo e rispetto così tanto.
D. Essendo cresciuto in Svizzera, cosa ti ha attratto verso un genere così profondamente radicato nella cultura caraibica?
R. Penso sia stata l’energia della musica, con cui ho instaurato un legame fin da bambino. Mia madre e i miei fratelli ascoltavano molto LKJ, Bob Marley o Jimmy Cliff e già da bambino mi sentivo attratto da quella musica, che mi parlava a diversi livelli, emotivamente, spiritualmente e, più tardi, anche con i testi, una volta che ho iniziato a capirli.
Jimmy Cliff & Diana King è stato il mio primo concerto dal vivo nel 1998, dopo la partita dei Mondiali di calcio dei Reggae Boyz contro l’Argentina a Parigi, in Francia. Che spettacolo! Lì ho comprato il mio primo sampler dancehall chiamato Reggae Boyz going to France 1998 e da allora il mio amore per i suoni della Giamaica non si è mai fermato. Il cerchio si è chiuso nel 2009, quando sono andato per la prima volta a registrare in Giamaica e ho finito per registrare nello studio degli stessi produttori di quel sampler che avevo comprato: Culture Lee e King Jammys.
D. In che modo l’ambiente culturale svizzero influenza il tuo sound?
R. In molti modi. Sono cresciuto con tanti suoni e culture diverse. A casa ascoltavamo sempre i dischi italiani di mio padre, come Lucio Dalla, Lucio Battisti, Adriano Celentano. I miei amici di scuola venivano da tutto il mondo. Quindi per me è sempre stato naturale vivere in un posto dove tante culture diverse si fondono insieme. Che si trattasse di lingua, cibo o musica. Ma nel momento in cui ho iniziato a cantare nella mia lingua madre, lo svizzero tedesco, su tracce dub, ho davvero trovato la mia identità di artista, perché ho fuso due cose con cui mi sento profondamente connesso. Lo chiamiamo patois svizzero, perché in fin dei conti non è una lingua scritta, ma piuttosto parlata, come il patois giamaicano.
D. Hai riscontrato delle difficoltà, o dei vantaggi, nell’essere un artista reggae al di fuori delle scene tradizionali dei Caraibi o del Regno Unito?
R. Penso che, indipendentemente dalla propria provenienza, si debbano sempre affrontare delle sfide; alla fine dei conti, bisogna toccare il cuore delle persone con la musica, questo aprirà le porte ovunque.
D. Componi i ritmi pensando a specifici sottogeneri reggae (roots, dancehall, dub) o lo stile emerge naturalmente mentre lavori?
R. Può essere entrambe le cose. Dipende dal mio stato d’animo e dal tipo di suono che cerco.
D. Quando lavori con altri musicisti o produttori, quali sono le qualità che apprezzi di più?
R. Rispetto molto i musicisti che sono veloci nell’imparare, creare e cogliere l’atmosfera. Musicisti come Michele Bochicchio o Luca Bochicchio dei The Dubby Conquerors, che sono geniali nella composizione e nella registrazione e allo stesso tempo molto veloci. La stessa esperienza l’ho avuta in Giamaica con band come i Raging Fyah o musicisti come Dean Fraser o Kirk Bennett. Sono musicisti con cui puoi registrare su nastro, non servono più di 2-3 take.
D. Qual è la lezione più importante che hai imparato come artista indipendente?
R. Per avere il controllo della tua arte, non lasciare che nessuno ti condizioni sul tipo di arte che devi fare, per il bene del mercato o per compiacere qualcuno. Per me l’espressione dell’artista è fondamentale.
D. Stai già lavorando a nuova musica?
R. Sì, sempre. (ride)