RIP BUNNY LEE

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“Come produttore ho sempre pensato a creare musica con la quale la gente potesse ballare e cantare insieme”.

Queste le parole in una delle ultime interviste rilasciate dall’immenso Bunny Lee, scomparso in queste ore all’età di 79 anni per cause ancora non svelate da chi gli è stato vicino fino alla fine. Altro prezioso e insostituibile frammento di storia della musica jamaicana che ci lascia, in un anno davvero terribile sul fronte delle perdite.

Quella “mission” enunciata da lui stesso ha rappresentato una costante del suo lavoro e grazie a quell’attitudine ha scritto alcune delle pagine più belle della musica reggae. La pratica di queste virtù, insieme alla sua straordinaria etica del lavoro, lo ha aiutato a ottenere una reputazione impeccabile e l’ammirazione di artisti e fan allo stesso modo. E non è un caso che fino a quando ha potuto ha girato il mondo per raccontare e rendere tutti partecipi sui tanti aspetti che precedono e accompagnano la nascita di una canzone.

Il pathos e l’emozione che solo uno studio di registrazione sa regalare, quello stesso studio dove sono passati tra i nomi più grandi e apprezzati e tutti concordi nel dire che aver lavorato con Bunny “Striker” Lee rappresentava un’esperienza che ogni artista avrebbe dovuto fare.

Coxsone, King Tubby’s, Chris Blackwell, Bob Marley, Peter Tosh, Lee “Scratch” Perry, Jacob Miller, Sly & Robbie, Beenie Man … Striker Lee ha lavorato con tutti loro. È stato molto influente nell’espansione della musica reggae a livello internazionale, plasmando il suono, la moda e la cultura.

Molte delle produzioni più significative degli anni 70 girano intorno alla sua figura, restano epiche le session di registrazione con il suo amico King Tubby alla ricerca di sonorità sempre nuove e stimolanti, un lavoro fatto con grande abnegazione e passione grazie al quale molti artisti sono diventati famosi in tutto il mondo.

Un viaggio musicale mai arrestatosi così che alla fine a Bunny Lee mette la sua firma su almeno duemila produzioni in vinile, un tesoro nel quale si trova di tutto, dalle prime sonorità rocksteady, passando per il roots reggae per infine approdare a radicali sonorità dub.

“Ho passato intere notti e giorni in uno studio di registrazione e con me i musicisti e gli artisti, finivamo solo quando quello che ascoltavamo ci sembrava perfetto” – ha confessato in uno dei suoi tanti racconti.

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