Intervista a Aswad

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Intervista a Aswad

Nati nella comunità caraibica della zona ovest di Londra, gli Aswad hanno mescolato le loro radici reggae e dancehall con sfumature di R&B, soul e funk, diventando uno dei gruppi reggae più acclamati del Regno Unito. Li abbiamo intervistati nella splendida cornice del Rototom Sunsplash 2025, festival reggae tra i più importanti d’Europa arrivato alla sua trentesima edizione.

D. Perché avete scelto questo nome per la band ai tempi?

R. Aswad significa nero in lingua araba. Noi in Inghilterra avevamo una storia da raccontare e lo abbiamo sempre fatto a modo nostro. Da questa storia deriva il nostro nome.

D. Sono cinquant’anni che lo fate e che siete sul palco. Lo fate assieme ad altre band leggendarie come Steel Pulse e Misty in Roots presenti a questo festival. Quale è secondo voi la caratteristica principale del reggae made in UK?

R. Questa è una domanda difficile a cui rispondere. Posso dirti che noi ascoltavamo la musica che proveniva dalla Giamaica ma che raccontava appunto storie propriamente giamaicane. Noi invece abbiamo iniziato a raccontare la nostra storia vivendola in Inghilterra. Utilizzavamo lo stesso genere musicale, gli stessi ritmi ma per raccontare la nostra realtà britannica, quella della diaspora delle Indie occidentali.

D. Come è nata la band? Come vi siete formati?

R. Venivamo tutti dalle stesse zone. Erano gli albori del cosiddetto Brit Reggae e quindi non c’erano molte band in giro. Parliamo di cinquant’anni fa, quindi molto tempo fa. Abbiamo iniziato a metterci assieme uno dopo l’altro e gli inizi non sono stati facili perché suonavamo in locali veramente molto piccoli e nel contempo cercavamo il nostro primo contratto discografico. È la che abbiamo cominciato a seminare fino a questa sera, dopo così tanti cambiamenti e concerti fatti. Ma siamo sempre qui.

D. Il messaggio è sempre lo stesso?

R. Il messaggio è sempre quello, cambiano le esperienze e le vite ma quello che vogliamo comunicare è sempre quello. Continuiamo a essere affamati e a non avere spesso di che sfamarci o a soffrire per amore. Le storie cambiano ma al fondo il messaggio è sempre quello. Bisogna progredire e ogni canzone parla in un determinato stadio della vita di ognuno di noi. Il nostro reggae comunque parla sempre principalmente di unità, in qualsiasi parte del mondo e per qualsiasi persona.

D. Perché però certi argomenti positivi non si trattano più nella musica in generale come negli anni Settanta?

R. Il reggae come l’altra musica è influenzata dalla società e dalla musica che è venuta in precedenza. Ci sono tante strade da percorrere. Noi personalmente abbiamo sempre preso a modello musicisti del calibro di Burning Spear, Culture o Bob Marley e i loro messaggi di speranza. C’è molta slackness oggigiorno e non possiamo negarlo e credo che comunque si possa imparare qualcosa anche dai quei generi così diversi dal nostro. Noi però rimaniamo sempre fedeli al nostro messaggio di speranza, unità e di One Love for All.

D. Io personalmente ritengo la copertina di A New Chapter of Dub una delle più belle di tutti i tempi nella storia del reggae. Mi potete raccontare la sua genesi?

R. Concordiamo su questo! Il nostro manager Mikey Campbell lo ha visto a casa di una persona che aveva collaborato con i Black Uhuru e anche gli Steel Pulse e che era anche un pittore e ha deciso di utilizzarlo per il nostro LP. All’inizio non ci era neppure sembrato un quadro ma una vera e propria foto.