Intervista a De Strangers

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De Strangers è una band roots reggae/dub milanese. Il nucleo principale ha formato il gruppo in giovanissima età spinto da una forte passione per le sonorità giamaicane. La musica è tutta scritta, prodotta, registrata e mixata dalla band, che da anni produce i brani da indipendente nel suo studio La Sabbia. Elia Pozzi (batteria, voce) e Emiliano Vegro (tastiere) costituiscono il cuore operativo, scrivendo e componendo ogni brano. Noi li abbiamo intervistati.

D. Iniziamo proprio dal vostro album d’esordio, parlatemi di come è nato…

R. L’album di esordio si chiama Chant Away. E’ il frutto del lavoro degli ultimi due anni. Noi in realtà, prima di questo album, avevamo già fatto uscire un EP e vari singoli che hanno preceduto questo lavoro da studio che invece è composto da undici brani. Per i tempi odierni sicuramente si tratta di un’offerta corposa. L’album lo descriverei come un insieme di musica roots e dub. Questi sono i due generi del reggae con cui ci approcciamo maggiormente nel suonare. Ci piacciono questi ritmi One Drop, a volte lenti a volte più veloci. Sempre e comunque con una certa autenticità del sound. Gli altri brani sono caratterizzati da atmosfere sound system con le bassline fatte dai synth e cassa dritta, i classici suoni che si sentono nelle varie serate. Noi lavoriamo in studio partendo da alcune idee che poi vengono sviluppate, costruendoci attorno dei brani e che quindi andiamo successivamente a registrare nuovamente. Tutti i nostri brani che sono attualmente in giro sono in realtà delle seconde versioni quindi. Noi abbiamo uno studio che in realtà è un collettivo dove suonano varie band, anche di musica elettronica, che si chiama La Sabbia. Ci influenziamo a vicenda e ultimamente si è anche aggiunta una band punk. Lavoriamo quindi molto in studio alle produzioni. Curiamo quindi tutto in ogni aspetto, dalla sezione ritmica alle melodiche, alle vocals. Lavoriamo molto su ogni aspetto e soprattutto il tutto viene spesso modificato in fase di lavorazione. Abbiamo quindi fatto una selezione di quali brani scegliere, tra quelli che secondo noi funzionavano al 100%. Per questo abbiamo scartato un po’ di tracce ma non è detto che le pubblicheremo presto sotto altra forma.

D. Nei live preferite suonare esattamente da disco oppure improvvisate maggiormente?

R. Dipende dai brani. Alcuni sono strutturati esattamente per rimanere fedeli al disco altri invece vengono riarrangiati completamente. Per esempio Serious Times che era uscito nell’EP Stop The Algorythm del 2022 è stato riarrangiato totalmente come versione live. Ci siamo accorti infatti che riprodurlo esattamente come suona nel disco non funzionava molto e quindi abbiamo deciso di rimodularlo e ora è uno dei brani che funziona di più live. E’ il terzo in scaletta e ha un ottimo impatto sul pubblico. Abbiamo altre canzoni su cui stiamo riflettendo su come dovremmo suonarle live e perciò ci stiamo lavorando.

D. Molto bella anche la copertina dell’album. Che cosa rappresenta?

R. La copertina è stata disegnata da un grafico che si chiama Nanà Dalla Porta. E’ un esperto in illustrazioni con questo stile fumettistico. Ci siamo messi in contatto con lui tramite il nostro sassofonista e ha quindi lavorato con noi sulle copertine di tutti i singoli. La copertina di Chant Away rappresenta un gigante, una figura mistica che attraversa i continenti e gli spazi, passando oltre un fiume che simboleggia il confine per eccellenza nella storia dell’umanità. Vogliamo portare la nostra musica oltre ogni confine. Con la musica vogliamo superare tutti i confini e le barriere, anche quelle mentali. Questo è il concept di questa grafica.

D. Vi riconoscete molto nel dub e nel roots. Perché dei ragazzi giovani come voi hanno fatto questa scelta?

R. E’ partito tutto tanti anni fa, quando eravamo ancora alle scuole medie. Il nostro chitarrista aveva nel catalogo dell’Ipod Legend di Bob Marley e queste sonorità ci hanno colpito fin da subito. Poi, dopo avere sentito tutto il reportorio di Bob Marley ci siamo approcciati ad artisti più vicini a noi come Mellow Mood, Alborosie e successivamente ci siamo orientati verso la scena americana dei 2000 come Groundation, Fortunate Youth e Rebelution. Queste band soprattutto hanno preso il reggae e lo hanno contaminato con altre influenze. Abbiamo fatto quindi in un certo senso un percorso inverso, partendo da un reggae più moderno e finendo al roots delle foundations. Contemporaneamente ci siamo approcciati anche alla scena sound system milanese che ci ha fatto apprezzare molto anche il genere dub. Questo ci ha portato anche a sperimentare molto, facendo sì roots music autentica ma sempre nel 2024 e soprattutto in Italia. Le nostre vocals infatti tendono quasi più al pop rock e abbiamo deciso di non scrivere mai in patwa. In questo il nostro sound si differenzia molto da tutto il resto del panorama reggae nazionale. Pop per noi non è dispregiativo e la nostra musica si presta anche a un ascolto per chi non è molto avvezzo alla musica reggae, anche nella dimensione live e questo permette di diffondere quindi un certo messaggio anche a chi non è strettamente appassionato di musica in levare.

D. Come e in che cosa siete cambiati dal vostro primo EP?

R. Stop the Algorythm è nato quasi come un EP strumentale. Abbiamo tirato giù un po’ di riddim senza necessariamente volergli dare una struttura da brano. Abbiamo fatto uno studio sugli strumenti analogici. Abbiamo quindi cercato di fare un album che andasse incontro a delle sonorità roots. In questo modo abbiamo ottenuto un sound molto sporco e vicino alle origini del genere. Chant Away è invece nato fin dall’inizio con l’intenzione di fare le cose in grande. Volevamo ottenere una produzione hi-fi, con suoni stereo e cristallini. In questo senso ci viene da definirlo un album un po’ pop. Un suono alla SOJA per intenderci.

D. Come è avvenuto l’incontro con Paolo Baldini e La Tempesta Dub?

R. Il link si è generato tramite Enrico Molteni, tramite una piattaforma che utilizzavamo per promuovere i brani, quando è uscito No Justice, il nostro singolo con Galas che è uscito molti mesi prima dell’album, grazie al supporto di Tullio di Dubwise. Ora i rapporti li stiamo avendo maggiormente con Jules dei Mellow Mood e Manuel Tomba che è uno dei manager dei Mellow Mood. La cosa che ci ha fatto più piacere è che sia Jules che Baldini conoscevano da un po’ i De Strangers. Abbiamo quindi mandato loro i primi mix dei brani di Chant Away e si sono dimostrati subito molto interessati. Inizialmente volevamo anche far fare a Paolo il mix dell’ intero album ma, sia per i tempi stretti che per una questione squisitamente stilistica, abbiamo deciso poi di farlo in maniera autonoma. In questo modo abbiamo mantenuto un sound uniforme in tutte le fasi del progetto. I brani di Baldini sono forse i migliori che si possano sentire a livello di missaggio ma hanno comunque una sua impronta molto forte mentre noi cerchiamo sempre un sound tutto nostro. Nell’album c’è comunque una sua versione di uno dei nostri brani. Sentire come lui ha interpretato una nostra canzone è stata un’emozione incredibile. E’ un onore quindi lavorare con il dubmaster per eccellenza in Italia e forse anche in Europa.

D. State già lavorando a qualcosa di nuovo in studio? Con chi vi piacerebbe collaborare prossimamente?

R. Stiamo già lavorando a brani nuovi e siamo abbastanza convinti che realizzeremo presto un nuovo album. I brani che stiamo scrivendo faranno parte del prossimo album. Ci saranno sicuramente dei nuovi featuring come quello con l’artista tedesco Dr. Ring Ding. Il featuring che secondo noi sarebbe più sensato al momento realizzare sarebbe quello con i Mellow Mood, visto che ci siamo anche approcciati a La Tempesta Dub, con un link ormai consolidato. Loro sono stati anche il primo live reggae a cui abbiamo assistito quindi si chiuderebbe un cerchio! Poi noi siamo dei fanatici dei riddim quindi i nomi con cui ci piacerebbe collaborare sarebbero veramente tanti. Un altro nome con cui vorremmo realizzare qualcosa è la leggenda Winston Francis. Oppure un altro sogno è collaborare con una voce femminile del panorama reggae, magari Jah9. Adesso in ogni caso ci stiamo godendo un po’ di riposo dopo l’uscita del disco, ascoltando nuove ispirazioni su Youtube ma presto ci rimetteremo a lavorare a pieno regime in studio. E’ bello comunque vedere come nel reggae sia tanta la voglia di collaborare tra gli artisti, molto di più rispetto agli altri generi musicali, rendendo così reale e concreto il messaggio di unità presente nelle canzoni.