Intervista a Paolo Baldini

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Paolo Baldini, con la sua prima band B.R. Stylers, si è distinto nel panorama reggae italiano grazie al massiccio utilizzo dell’elettronica e di sonorità di ispirazione britannica, che sono rimaste a lungo una delle sue caratteristiche distintive.
Nel 2024 pubblica il suo terzo album solista, In The Shell, con delle basi strumentali originali costruite in studio a cui aggiunge le voci di numerosi artisti internazionali.

D. Parlami di In The Shell. Innanzitutto perché questo titolo?

R. Il titolo ha per me un forte valore simbolico perché la conchiglia rappresenta questo guscio duro che protegge una vita preziosa e fragile. Questo concetto lo estendo a tutti i valori fragili che sono contenuti mediamente in tutti i terzomondi; in questo album mi è stato caro questo concetto perché tutto il flow dell’album gioca in un delicato rapporto sincretico tra una tradizione quasi tribale, espressa dai sample, che ho registrato in Africa, e il beatmaking moderno, se vogliamo, che conferisce a queste geometrie ritmiche una nuova vita e una nuova destinazione.

D. Qui ti sei concentrato sul beat making piuttosto che sulla post produzione. Perché questa scelta?

R. Allora qui mi sono concentrato sul beatmaking e poi anche sulla post produzione. Ecco diciamo che rispetto a come ho sempre lavorato nei lavori precedenti, negli album precedenti che sono stati molti, ma tutti espressi attraverso la tecnica del dub nella sua accezione squisitamente giamaicana, in questo caso io ho fatto tutto il lavoro di beatmaking prima e poi il lavoro di post produzione. Quindi, sostanzialmente, rispetto a prima, si è aggiunta una fase che era quella precedente che era proprio quella della scrittura: cioè di immaginare una tensione ritmica, di accostare a questa magari delle frequenze basse che in qualche modo determinavano una tonalità e via così a stratificare fino a creare la musica, e poi la canzone arrivava. La postproduzione è quella specialità che noi “fonici del reggae” che amiamo chiamarci dubmaster poi mettiamo a passaggio finale sui nostri lavori.

D. Parlami delle varie collaborazioni presenti nel disco e di come sei riuscito a coinvolgerli nel progetto.

R. Le collaborazioni celebri di questo album che sono sostanzialmente Kabaka, Queen Omega ed Anthony B sono, per certi aspetti, contatti “storici”; nel senso che per Queen Omega mi ero ritrovato a mixarle diversi brani in periodo pre-covid. Con Kabaka abbiamo condiviso il palco, anzi il dub stage ad un Rototom di qualche anno fa. Per lui forse era il “primo giro” che faceva in Europa, non era ancora il Kabaka che conosciamo oggi però era insomma un giovane estremamente talentuoso a cui abbiamo passato il microfono durante un Dubfiles alla Dub Academy insieme ai gemelli dei Mellow Mood, Forelock ed Andrew-I “dandosele di santa ragione” per tutta la serata!

D. Ma ci sono anche molti altri artisti, parlaci di loro….

R. Gli altri artisti che ho coinvolto nel progetto sono quelli che gravitano intorno all’etichetta La Tempesta Dub e introno all’Alambic Conspiracy Studio. Alcuni sono delle presenza immancabili come i Mellow Mood (sia i gemelli che Jules I), Forelock e Andrew I, ma ci sono anche delle leve nuove interessanti che arrivano dalla Giamaica come Minori, Bleue, 5 Star Celestial che sono dei sapori nuovi che ancora devono imporsi sulla scena Europea, ma che sicuramente lo faranno perché sono molto skillati. E poi ci sono due eroi della scena europea  Lasai, da Madrid, e Zacky Man, dal Portogallo, che sono un ottimo esponente della scena sound system il primo e una vera macchina da dancehall il secondo ed è stato un piacere coinvolgerli perché li stimo moltissimo e vedo che stanno crescendo esponenzialmente.

D. Mi parli delle tue esperienze in Africa e in Senegal in particolar modo, da cui hai tratto ispirazione per questo disco?

R. Ho avuto il privilegio e la fortuna di essere in qualche modo legato famigliarmente a una regione dell’Africa subsahariana tra il Senegal e la Guinea: una zona molto remota (si parla di migliaia di chilometri dentro la Savana da Dakar) e mia moglie è nata in quel villaggio. Lei è un’antropologa, di fatto un’antropologa nativa, e quindi ho avuto la fortuna nei viaggi in cui l’ho accompagnata non solo di visitare i luoghi e la famiglia, ma di avere anche un approccio da spettatore a delle situazioni di forte valore etnomusicologico e mi sono sempre dotato dello stretto necessario per poter così, discretamente, registrare quello che potevo e mi era permesso registrare. Quindi a distanza di anni ho messo un po’ di ordine su certi reperti che avevo ed alcuni di questi già mi sussurravano delle geometrie che poi potevano essere dancehall o dub.

D. Stai pensando magari a realizzare un progetto come At Song Embassy ma con artisti africani?

R. Bella domanda, davvero! C’ho pensato, ci abbiamo pensato molto in realtà. Il soundsystem ed il reggae sono “cose giamaicane”, ma comunque la Giamaica resta un’isola da 2 milioni di abitanti e rappresenta facilmente se stessa nella sua totalità. L’Africa è un po’ più grande di come ce la fanno vedere sul mappamondo e quindi non esiste UN artista africano. O hai la fortuna di attraversare tutta l’Africa oppure ti concentri su un territorio specifico, ma è comunque uno stimolo molto interessante… magari a tempo debito…

D. Come procede la tua attività come produttore per altri artisti?

R. Allora la mia attività come produttore procede. Nel senso che tutto il tempo utile che non passo in giro facendo live, lo passo in studio a produrre. Abbiamo da poco finito il nuovo disco dei Tre Allegri Ragazzi Morti (uscito venerdì scorso) che abbiamo prodotto qui. Stiamo producendo altre novità legate all’ambito reggae che usciranno a breve. È sempre molto attiva la mia pratica di remix e dub version (è uscita la settimana scorsa una mia dub version in occasione della pubblicazione dell’album dei De Strangers, band che gravita intorno alla nostra etichetta) per progetti terzi… sì insomma… decisamente mai con le mani in mano direi…

D. A cosa stai lavorando di nuovo?

R. Discograficamente, come detto, non mi fermo mai soprattutto con le collaborazioni “spot” per altri artisti (che siano mix, remix o dub version). Per quanto riguarda specificatamente me, in questo momento sto lavorando ai live integrando nel mio set le canzoni del nuovo disco e sviluppando un po’ alla volta l’utilizzo di visual all’interno del mio live in modo da fornire al pubblico uno show ancora più coinvolgente soprattutto in quei contesti un po’ a digiuno di quella che è la cultura dei sound system e del dub.

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