Intervista a Thierry

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Thierry è un talentuoso batterista e cantante congolese residente in Friuli Venezia Giulia. Le radici africane di Thierry, il suo amore per il roots reggae e la collaborazione con musicisti di altissimo livello, insieme al mix e master realizzati in Giamaica sono gli ingredienti del suo nuovo album intitolato Asante. Ha iniziato a lavorare al progetto durante la pandemia e ha curato ogni minimo dettaglio per ottenere un risultato sorprendente. Un album eclettico, ancorato al roots reggae più profondo, ma allo stesso tempo tribale e pop, orchestrale e progressivo nell’arrangiamento capillare. Un lavoro realizzato con il contributo di numerosi artisti internazionali, tutti collegati dal forte legame personale con l’artista.

D. Parlami del tuo nuovo album Asante… Perché questo titolo? Cosa significa?

R. Asante, che significa “grazie” in Swahili, è ciò che più sento di dire in questo momento della mia vita. È un grazie profondo rivolto a tutto e tutti coloro che mi hanno educato tanto da arrivare a questo punto del mio percorso. Asante è a tutti gli effetti ciò che provo e sento nel mio IO più profondo. Un urlo che dà voce al desiderio di fermare tutto e riconoscere che quello che stiamo facendo, ciò che siamo non è realtà, ma una proiezione malata di questo mondo “umano”, che ci sta portando pian piano ad essere individui singoli, soli, impauriti e senza amore, né per noi né tanto meno per chi ci accompagna nel nostro percorso. Se posso quindi, rispetto alle mie esperienze, contribuire ad una presa di coscienza o per lo meno al porsi delle domande, allora sono sulla strada giusta, perché il confronto e la comunicazione reciproca sono le uniche armi che ci hanno lasciato e che ci possono portare ad una vera Vita, con la maiuscola.

D. Un album dalle forti radici africane. Dimmi di più di questa scelta stilistica…

R. Sono nato in Congo e cresciuto in Burundi, ci sono rimasto fino agli 11 anni e purtroppo mi sono trovato a dover emigrare, scappando da una guerra civile che per un decennio non ha lasciato scampo a nessuno. Quelle sono le mie radici, lì è iniziato il mio respiro, più che una scelta stilistica la definirei semplicemente la mia identità.

D. Perché hai scelto Them Muzzle Ya come primo singolo?

R. Them Muzzle Ya è il mio grido più grande, per questo è uscito per primo… sai quella cosa che non riesci più a tenere dentro e devi assolutamente gridare? Quell’urlo di disperazione che ti esce spontaneo perché i nostri fratelli e sorelle stanno smarrendo la via nel silenzio più totale? Ecco, questo è Them Muzzle Ya. Significa ‘Ti stanno mettendo la museruola’ ed è un ammonimento a ciò che di più grande stiamo perdendo… la nostra identità, camuffata da maschere perenni che stanno sostituendo il nostro vero IO. ‘Put down the mask, don’t let them muzzle ya’, lascia la maschera e non lasciare che ti mettano la museruola!

D. Quali sono i nomi che hai coinvolto nel disco?

R. I nomi coinvolti nel disco sono parecchi. C’è chi ha collaborato nella stesura della pre-produzione, chi ha messo a disposizione le sue competenze artistiche, fisiche, intellettuali, chi si è trovato coinvolto nelle registrazioni del disco. Insomma si è creato un insieme di collaborazioni con persone che ho incontrato nel mio cammino nell’arco degli anni e che hanno risposto alla mia chiamata con un sì bello deciso e pieno d’amore. Queste belle anime sono quasi una trentina. Ci sono musicisti come Paolo Gavasso (tastiere e organo), Guzo (basso), Leonardo Duranti (chitarra), Alessandro Petrussa (percussioni), Giorgio Giacobbi (sax), Roberto D’Azzan (tromba), Max Ravanello (trombone), Michele Pucci (chitarra flamenca), Leonardo Rasta Bwise Centa (chitarra) Massimiliano Pic (dub sounds), Leo Virgili (small sounds), Time – Revelation of Rastafari (percussioni Nyabinghi). Poi ci sono le cantanti che mi hanno accompagnato con i loro cori: Rosa Mussin, Francesca Lucia Rossi, Michela Grena e Daisy De Benedetti. I featuring sono con Italee Watson, Canu Efis Najarro e Alex Corona.
E poi non vanno dimenticati il sound engineer Enrico Berto (Mushroom Studio), il tecnico delle percussioni Pablo De Biasi, Delroy Phatta Pottinger che ha mixato il disco all’Anchor Recording Studios e Mario Syantis Lawrence che ha fatto il master, Rising Roots Entertainment LLC che curano le edizioni e anche Juan Carlos Marzi e Andrea Gottardi (Universo Factory), Luca Da Dalt (LDDV Studios) e Amanda Vallar (Pixel a Pois) che si sono occupati rispettivamente delle foto, video e artwork e Run it Agency, il mio ufficio stampa.

D. Come è stato lavorare con Italee Watson?

R. È stato pazzesco, mia sorella Italee è una vera e propria Empress!!! Una dolcezza ed una sensibilità disarmanti accompagnati da una grinta pazzesca. Mi ha ospitato a casa sua mentre ero in Giamaica ed è lì che le ho chiesto se volesse cantare la seconda strofa di Emma. Ha subito accettato e quando siamo andati in studio è successa la magia. È così talentuosa che si è scritta le parole giusto prima di registrare, ed una volta entrata, con un bel one shot ha creato quello che oggi potete sentire tutti. Dire che sono rimasto a bocca aperta è alquanto riduttivo.

D. Tu sei anche un talentuoso batterista. Preferisci cantare nelle tue composizioni oppure suonare?

R. Ti ringrazio per questo gran complimento, lo apprezzo veramente! In effetti mi sono reso conto di non averlo mai comunicato esplicitamente, ma suono la batteria e canto sia nel disco che nei concerti dal vivo. Suonare la batteria è stupendo, mi libera completamente e poterci cantare sopra mi porta in un’altra dimensione, dove ciò che di più profondo sento dentro di me trova il modo di fluire per raggiungere le altre anime. Certo dal vivo, l’impatto scenico di un front man a tutti gli effetti perderà un po’ di mordente, ma ne rimarrete piacevolmente sorpresi.

D. Dal Congo al Friuli Venezia Giulia. Come è stato il passaggio? Come sei stato influenzato anche artisticamente?

R. Ah, il passaggio è stato brusco, drastico, sine tempore, è stato come morire! La fretta con cui abbiamo lasciato casa è stata pazzesca. Non ho potuto né salutare chi mi era più caro, né scambiare alcun contatto, né stupidamente prendere gli effetti personali… fatte le valige con i vestiti e poi partiti. Ormai da troppi mesi si viveva col coprifuoco e si dormiva sotto ai letti per paura che qualche raffica di mitraglietta ci potesse colpire. La fortuna è stata di trovare casa anche qui in Italia, di incontrare anime stupende che nel tempo hanno aiutato a colmare un vuoto che sembrava senza fine. Artisticamente sono stato influenzato sia da mia madre (burundese) che da mio padre (trentino), entrambi musicisti non professionisti, che mi hanno da sempre fatto ascoltare ed apprezzare tutta la musica, analizzandola a volte, ballandola, cantandola, godendone, ma soprattutto vivendola in compagnia e facendomi capire l’importanza della condivisione della musica, come mezzo di amore.

D. Stai già lavorando a qualcosa di nuovo? Con chi ti piacerebbe collaborare in futuro e in quale forma?

R. Sì, sto già lavorando sul prossimo disco, sono nella fase chitarra e voce. Io compongo in questo modo, scrivo prima dei pezzi prettamente acustici e poi, quando li sento pronti decido come ritmarli e conseguentemente ci arrangiamo poi le altre parti. Ma la sequenza è chitarra, voce, batteria. Ci sono persone con le quali sono in contatto, chi dal punto di vista prettamente tecnico-artistico, chi puramente artistico. Quando sarà il momento ve le rivelerò, posso solo dire che non ci sono confini o distanze che possano impedire alla musica di prendere forma e nascere. Incredibile quanta collaborazione mi sia stata offerta, pazzesco! Se mi chiedi dei nomi che fanno parte di un desiderio-sogno che spero un giorno potrò realizzare allora ti dico Stephen Marley, David Hinds, Sly Dunbar, Harrison Stafford, Buju Banton, Clinton Fearon per citartene alcuni, ma la lista potrebbe essere infinita. Io adoro parecchi artisti perché mi emozionano, tutti mi insegnano ogni giorno qualche cosa di nuovo che mi arricchisce e mi educa. Ma questo anche nella vita quotidiana, per ricollegarci, direi assolutamente Asante!

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